Segesta costituisce attualmente un caso privilegiato per seguire le vicende dello spazio urbano come riflesso delle vicende storiche e istituzionali della Sicilia occidentale tra l’età della I guerra punica e Augusto. Le iscrizioni edite ed inedite di Segesta e di Entella possono infatti essere messe in rapporto con i risultati degli scavi recenti (diretti da C.Ampolo e M.C.Parra) e con le fonti letterarie, e alcuni dati sono ormai sicuri.

Per quel che riguarda le fonti epigrafiche, la cronologia alta (all’età di Agatocle o in anni a questa vicini) sia dei decreti di Entella e Nakone sia di un gruppo omogeneo di iscrizioni greche relative ai lavori pubblici di Segesta è ormai superata e non possono essere messe in relazione con il tiranno-re di Siracusa che distrusse la città, che avrebbe avuto 10.000 abitanti (polis myriandros), e la avrebbe ripopolata o rifondata con altro nome (Dikaiopolis). Manca ancora una documentazione, almeno nell’area centrale, sulla fine del IV secolo e la prima metà del III sec., probabilmente anche a causa dei grandi lavori di sbancamento per creare grandi terrazze su cui sorsero poi l’agorà e gli edifici pubblici vicini, mentre vi sono resti di alcune significative strutture precedenti. Altri documenti mostrano interventi nel corso del I sec. a.C. e in età augustea, che integrano bene i dati archeologici. Utile il confronto, per analogia e per differentiam, con quanto Diodoro Siculo (XVI, 83) scrive della situazione nella Sicilia riferendosi in particolare alla parte orientale dell’isola.

Dopo le vicende complesse dell’età di Pirro e della prima guerra punica (terminata nel 241), Segesta fu ricompensata dai Romani con un notevole ampliamento del territorio (che comprendeva il santuario di Erice verso occidente e confinava ad oriente con le terre di Palermo); dovette inoltre avere parte nei bottini di guerra perché forniva come altre città un piccolo contingente navale ai Romani. I proventi del territorio e delle guerre dovrebbero aver consentito l’esecuzione degli impressionanti lavori pubblici nell’area centrale, che furono progettati in modo estremamente ambizioso, secondo i principi dell’urbanistica e dell’architettura scenografica tardo-ellenistica (almeno per la grande stoa nord a due ordini e oltre 100 m. di lunghezza, con due alae, si può parlare di ‘gigantismo’ e di ‘teatralità’: Ampolo-Parra 2016). Come provano le epigrafi, almeno alcuni edifici o loro parti, furono curati dalle elites locali. Sarà discusso il significato storico di tali lavori e dei documenti relativi. La realizzazione delle decorazioni interne fu molto sobria, in contrasto con la monumentalità dell’architettura. Ignoriamo se ciò sia in conseguenza delle rivolte servili, una delle quali ebbe tra i suoi focolari l’area segestana. Seri problemi statici resero necessari interventi di restauro e cambiamenti, tanto che in età augustea la zona di servizi e commercio sembra spostarsi dagli ambienti sotto l’ala Est della stoa alla parte occidentale dell’agora, vicino al percorso viario principale, dove sorsero tabernae, con creazione di un macellum e di una piccola piazza triangolare (con grande epigrafe latina posta da un Sopolis e da un Onasus, membri della nota famiglia dell’Onasus , homo nobilis ricordato da Cicerone ; se si trattasse rispettivamente di figlio e padre, lOnasus potrebbe essere identificato con il personaggio sopra citato che testimoniò al processo contro Verre).

Comunque ancora in epoca augustea Segesta e la Sicilia occidentale sembrano disporre di risorse e mostrano accanto all’uso del greco la presenza cospicua del latino. Dato che i Segestani nell’età di Tiberio e poi di Claudio fecero ricorso agli imperatori per lavori al santuario di Venere Ericina, sembra che da allora ci sia stato una riduzione delle risorse disponibili. Non è escluso che in periodi ormai tranquilli la vita si sia in parte trasferita in basso, in pianura, presso le Thermae Segestanae, vicino alle vie di comunicazione con i maggiori centri della Sicilia occidentale.